giovedì 24 maggio 2012

Alla convention de “Il mondo dei doppiatori”, l’allarme di Raffaele Fallica: “Fra 15 anni il doppiaggio milanese scomparirà”


Si è svolta nei giorni scorsi la prima convention nazionale de “Il mondo dei doppiatori – AntonioGenna.net”, il sito italiano per eccellenza dedicato al doppiaggio e ai suoi appassionati. Organizzato da Antonio Genna con l’Associazione Culturale First National” di Franco Longobardi, Angelo Quagliotti e Lorenzo Bassi, l’incontro è stata l’occasione per ripercorrere la storia e fare il punto sull’attuale situazione del settore. Inoltre per scoprire qualcosa di sorprendente su alcuni doppiaggi storici (e perduti), come quelli dei primi film di “Stanlio & Ollio”.
Ospite d’onore della serata è stato Raffaele Fallica, pioniere del dubbing made in Milano e presidente di ADC Group (Audiovisivi Doppiaggio Cinema), la più importante società presente nel capoluogo lombardo.
Partendo dalla definizione di “anello”, nel primo video che proponiamo Fallica descrive quale fosse l’originaria funzione dell’assistente di doppiaggio e come si è evoluta la tecnica di lavorazione, in particolare dopo il 1986 con l’introduzione di nuovi e più sofisticati strumenti:
Nel secondo il presidente di ADC Group illustra la nascita del doppiaggio a Milano e le problematiche relative al suo futuro:
Nel seguente intervento ci spiega chi, secondo la sua lunga esperienza, ha le caratteristiche per diventare un doppiatore professionista:
Agli allievi dei suoi corsi, Fallica non richiede più la sola capacità di saper lavorare in “sinc”, anche perché oggi i fonici di mix allungano o accorciano le frasi secondo le esigenze, ma di “occhio”. Nel senso che, durante le esercitazioni, fa coprire le bocche degli attori presenti sullo schermo affinché doppino seguendo gli occhi. Il doppiaggio, infatti, deve essere pura emozione (e gli occhi sono lo specchio dell’anima) e non puro tecnicismo.

Alla domanda di come si concili la presenza in sala di registrazione sia del regista che del direttore del doppiaggio, Fallica ha risposto che “nel caso del doppiaggio di un film italiano, se il regista è in studio per dirigerlo, la figura del direttore del doppiaggio diventa simile a quella di un assistente, ovvero di un tecnico. Ad esempio quando Ermanno Olmi diresse il doppiaggio de ‘L’albero degli zoccoli’, il regista gli domandava se le battute fossero in sinc, se si potessero mettere ulteriormente a posto, etc. Non gli poneva assolutamente quesiti artistici”. “In generale”, prosegue Fallica, “il direttore di doppiaggio è un direttore d’orchestra: dopo aver visto il film, deve prendere i migliori orchestrali e dirigerli per ricomporre il pezzo. Non si deve sostituire al regista, non è suo compito rifare il film. Deve solo ricreare le sue intenzioni e atmosfere. Certamente alcuni movies migliorano con il doppiaggio. I più difficili da adattare sono quelli spagnoli o di Bollywood, dove per dire ‘ti amo’ gli attori indiani fanno prima un sacco di buffe espressioni con il viso. Ebbi complicazioni anche con la versione giapponese di ‘Shall we dance’, a cui ho dato la voce all’interprete principale. Lo scandalo non era, come abbiamo visto nel remake con Richard Gere, che il protagonista trascurasse la moglie per ballare con una partner più giovane, ma che un uomo e una donna si sfiorassero anche soltanto con le mani, vero e proprio tabù che persiste ancora nel Paese del Sol Levante”.
Alla conclusione del suo intervento, Fallica ha ulteriormente motivato le ragioni che lo inducono a ritenere che il doppiaggio sia destinato all’estinzione: “Quando tutti i ragazzini avranno imparato l’inglese, non ce ne sarà forse più bisogno”.
La seconda parte dell’incontro è stata caratterizzata dalla visione di un omaggio a Ferruccio Amendola, di “Passa la parola” (spezzoni di film italiani dove famosi attori doppiatori non si sono auto-doppiati, ma hanno ceduto l’incarico a colleghi), di uno speciale sui dubbers di Totò e soprattutto de “I fanciulli del West” con Stan Laurel e Oliver Hardy. E prendendo spunto da questo, Franco Longobardi ha illustrato la storia del doppiaggio dei lungometraggi di Stanlio & Ollio, svelandoci che il primo doppiaggio cinematografico in assoluto fu realizzato da Walt Disney nel 1928. Il celebre fumettista aveva necessità di far cantare le sue creature Topolino e Minnie nel film “Steamboat Willie”.

Il successo dell’operazione indusse il produttore del duo, Al Roach, a trasformare fra il 1929 e il 1930 le comiche da mute a sonore, ma essendo Stanlio & Ollio attori in carne in ossa e non ritenendo quindi plausibile che potessero essere doppiati come un cartone animato, decise di dar vita alle edizioni multilingua delle loro opere. In pratica i due dovevano rigirare le scene “parlate” in italiano, spagnolo, francese e tedesco. Dovevano, perciò, rifare quasi completamente il film più volte. Un lavoro immane non solo perché Laurel e Hardy non conoscevano altri idiomi al di fuori dell’inglese, ma anche perché si rendeva necessario ingaggiare degli attori madrelingua per i ruoli di contorno.
A causa però dei risultati disastrosi per le pronunce terribili, nel 1932 si optò affinché le pellicole fossero semplicemente doppiate da attori locali nei paesi di destinazione, soprattutto per una questione di risparmio. Nacque così il doppiaggio. Per quanto riguarda la riproduzione delle voci di Stanlio & Ollio, in Italia la scelta cadde su due ragazzi che conoscevano i toni americani: Carlo Cassola (Stanlio) e Paolo Canali (Ollio). I due, ed ecco entrare in scena la nostra genialità, non soltanto pensarono di riprendere la divertente parlata “maccheronica” utilizzata dagli interpreti originali, ma di potenziarla comicamente inserendo degli strafalcioni. Inoltre decisero d’invertire i naturali timbri degli attori: a Ollio, che nella realtà aveva una voce sottile, gli attribuirono un tono più baritonale (tipico di una persona obesa) mentre a Stanlio, che invece ne aveva una più profonda ma sottile quando piangeva, di farlo sempre recitare in falsetto (perfetto per un ometto smilzo come lui). L’ineccepibile abbinamento personaggio-voci creato da Cassola e Canali fece sì che i successivi doppiatori della coppia, Alberto Sordi e Mauro Zambuto, mantenessero la loro impostazione perché il pubblico vi si era affezionato e non avrebbe apprezzato un drastico cambiamento. Ad esempio, Sordi conservò la tipica “r” moscia inventata da Canali.

Per quanto riguarda più dettagliatamente “I fanciulli del West”, nel film compare James Finlayson (nella foto a sinistra), passato alla storia del cinema con l’appellativo di “zio Fin”, qui magistralmente doppiato da Olinto Cristina. Cristina, ricordiamo, è stata la prima voce caratterista del vecchietto del Far West, poi ripreso e imitato da Lauro Gazzolo. Nella Bonora doppia invece sua Per una miniera d’oro diventerei Cleopatra” sentiamo uno dei primissimi casi di stravolgimento di un dialogo originale. Infatti, si tratta di un omaggio alla stessa Bonora, che poco tempo prima aveva prestato la voce al personaggio della regina d’Egitto nell’omonima pellicola diretta da Cecil B. De Mille.
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Qui di seguito un breve estratto da “I fanciulli del West”:
L’Associazione Culturale “First National” dispone dell’unica copia esistente del film in pellicola, che ha un’ulteriore particolarità: è la sola testimonianza di un doppiaggio completo realizzato da Cassola e Canali e contiene ancora le musiche originali di Marvin Hatley, che nel ridoppiaggio Rai del 1986 furono completamente cancellate.
Un’ultima curiosità: i nomi di Stanlio & Ollio non furono una nostra invenzione, ma degli stessi americani che li coniarono per darli ai personaggi del film “Fra Diavolo” del 1933 poiché ambientato in Italia. Fino ad allora, nel Belpaese, si indicavano semplicemente come “il grasso e il magro” o più familiarmente “Crick e Crock”.
Maggiori informazioni sui corsi, sulle attività e sulle iniziative dell’Associazione Culturale “First National” li potete trovare all’indirizzo http://www.doppiocinema.net/

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